Siediti e mettiti comodo, perché questa storia inizia almeno dieci anni fa e credo valga la pena di essere raccontata.
Mi siedo sulla mia poltroncina del cinema di Ericeria contento di poter vedere i film di surf sul grande schermo, sto lavorando in Portogallo per la stagione e questa sera c’è il portuguese surf film festival, una rassegna internazionale di film a tema surf (8 anni dopo parteciperemo due volte a questo festival come protagonisti, prima con Kids are Future e quest’anno con Playground, ma questa è un’altra storia.)
Dei film presenti quella sera non ricordo assolutamente nulla, tranne uno: “Under an arctic Sky” racconta un’avventura mozzafiato tra le fredde ondedell’Islanda, condizioni difficili ed estreme per molti versi ripagate da onde vuote e meravigliose. Per trovarle i protagonisti affrontano rischi notevoli e si avvicinano più volte a dover abbandonare l’avventura ma a forza di crederci arrivano a destinazione. Finisce con una foto sulla copertina di Surfer Magazine accompagnata da una scritta a caratteri cubitali: NE È VALSA LA PENA.
Rimango incollato allo schermo e dentro di me si accende una scintilla. É l’unica cosa che ricordo di quella serata.
Probabilmente quella stessa estate conosco Angelo.
“Andre questo ragazzo ha prenotato una settimana di coaching con te, in quei giorni potrai dedicarti solo a lui”, nulla di più stimolante per me.
Angelo è un personaggio un po’ particolare, goffo nei movimenti e con un modo di relazionarsi umile e caotico. Mi accorgo che parla cinque lingue e gira il mondo per lavoro ma riesce sempre a incastrarlo nel modo giusto per trovarsi a fare surf in posti incredibili. Forse forse non è poi così tontolone come sembra. La settimana è decisamente stimolante: Angelo non è naturalmente portato per il surf ma compensa tale mancanza con una caparbietà fuori da ogni immaginazione. Prende tante di quelle cartelle con lo skateboard che inizio a pensare che con lui non sia un buon metodo di allenamento ma non batte ciglio, cade, si rialza e va avanti.
Da quel momento io e Angelo diventiamo buoni amici e iniziamo a condividere tanti viaggi in giro per il mondo, tante risate e situazioni in cui solo lui riesce a cacciarsi. Sorride e sembra prenderla con leggerezza ma sotto sotto Angelo lavora, prende appunti sul suo quadernino, inizia ad allenarsi in palestra chiedendomi una scheda ma poi per il piacere di stare col gruppo decide che quando finisce di lavorare a Novi ligure viene ad allenarsi con noi a Genova per poi rientrare a casa a Milano, praticamente uno sbattimento incredibile ma lui questa cosa del surf ha deciso che
la vuole fare bene.
Estate 2019. Finisco il percorso canonico della scuola di osteopatia (il percorso di formazione vero e proprio mi sa che se ho capito bene non finisce mai).
La mia fidanzata mi regala due biglietti per l’Islanda; ora è mia moglie ma ai tempi mica sapevo che l’avrei sposata, soprattutto dopo aver visto che i biglietti erano per novembre, in Islanda, ma siamo matti?
Partiamo attrezzati per il grande risparmio, la sacca delle tavole è piena di cibo e una cara amica che vive a Reykjavik ci cede gentilmente casa sua proprio la settimana in cui lei parte per le vacanze. Solo su una cosa non si bada a spese: almeno un giorno prendiamo una guida e ci facciamo portare a surfare, potremmo anche avventurarci da soli ma non misembra una scelta saggia.
Non ti racconto nel dettaglio quella settimana perché anche quella è un’altra storia, rimaniamo sui punti salienti: l’Islanda mi emoziona a dismisura, fare surf in quell’acqua ghiacciata mi sembra un’avventura incredibile, per motivi logistici economici non giriamo tutta l’isola, fa freddo ma ancora non ha nevicato, facciamo surf due volte, vediamo uno spicchio di aurora boreale e torniamo a casa col cuore pieno.
Un paio di estati fa.
Sono in Spagna per un camp e immancabilmente c’è qui con me ad allenarsi ilbuon Angelo.
Mentre fantastichiamo sulle mete future mi dice che il suo sogno è di fare un camp in un posto freddo, remoto e con la neve e che vuole arrivare ad avere il livello di surf necessario per poterselo godere.
“Andre portami un po’ in Islanda, tu ci sei già stato, no?”.
Il costo proibitivo e il freddo estremo dell’Islanda in inverno mi fanno pensare che non troverò mai un gruppetto di matti interessati a un camp ma vai a capire come Angelo mi convince a farlo.
Il contatto della guida ce l’ho, la mia cara amica che vive a Reykjavik lavora in un’agenzia di viaggi, forse forse non sarà così difficile da organizzare.
Alla fine siamo io, Angelo, Enrico, Matteo, Damiano e Viola.
Viola è appena ventenne e dopo essere stata paccata dagli amici l’anno scorso per il viaggio di maturità dei suoi sogni in Islanda ha colto la palla al balzo e lavato piatti per due estati di fila.
Enrico e Damiano fanno surf da poco più di un anno ma si sono intestarditi tanto che in così poco tempo hanno già il livello di poter affrontare un viaggio del genere. Per capire che tipo è Matteo aspetta di leggere il giorno 2.
Tommaso Pardini non ha bisogno di presentazione, ha il compito di immortalare tutto perché un viaggio così vale la pena ricordarlo con due foto fatte a modo.
Mi piacciono le persone che ci mettono il cuore, si capisce?
GIORNO 1
Partiamo con 4 ore di ritardo, una tempesta di neve con raffiche di vento a 60km/h blocca l’aeroporto di Reykjavik per qualche ora, allerta gialla sui fiordi dell’ovest e arancione per abbondanti nevicate a nord. Le allerte meteo in Islanda lasciano poco spazio all’immaginazione.
Incontriamo Ingo, la nostra guida che, in modo molto saggio ci consiglia di rimanere a Reykjavik per il primo giorno, fare surf nei dintorni per abituarci alla muta spessa e i guanti e aspettare che il tempo si sistemi un minimo.
Ci avventuriamo nella zona di Grindavik, cittadina riaperta due giorni prima dopo essere rimasta abbandonata per tre anni causa eruzione di un vulcano. Passiamo in mezzo a cumuli di lava fumante che impiegherà circa 10 anni a raffreddarsi, il paesino di Grindavik è stato abbandonato da un momento all’altro, gli smottamenti hanno spaccato tutti gli allacci fognari e le tubature e alcune case sono visibilmente inclinate da un lato. Qualcuno approfitta della riapertura del paese per recuperare cose lasciate in casa. Una volta che un vulcano erutta viene considerato attivo per altri 500 anni, non è sicuro continuare a vivere lì e non avrebbe senso mettersi ad aggiustare tutto, un intero paese ha dovuto trovare una sistemazione differente.
Finiamo in un beach break con onde piccole ma molto promettenti e partiamo a scaldare i motori.
Trucco numero 1: un po’ di acqua calda nei calzari ti aiuta a mantenere i piedi caldi mentre cammini sul ghiaccio.
Trucco numero 2: lascia i vestiti ordinati e in un posto comodo ( per chi non è del mestiere in 8 surfisti con due macchine la cosa non è così scontata).
Più che una session di riscaldamento mi sembra una missione ma capirò nei prossimi giorni che in Islanda ogni session è una missione.
Le onde sono piccole ma spingono, provo il primo take off e mi inciampo sulla punta del calzare di 7mm, remare e alzarsi con le moffole non rende la cosa più facile ma gradualmente prendiamo la mano su tutto e ci divertiamo come matti. Le mute fanno il loro lavoro ma quando vai sott’acqua ti rendi conto che è freddina. Teniamo le mute addosso e guidiamo fino alla prima piscina comunale, ci guardano un po’ straniti ma ci lasciano cambiare sotto la doccia calda e ci buttiamo direttamente in una bella piscina all’aperto, acqua 42 gradi, fuori meno 3. Cena veloce e via a perderci per i monti a cercare di vedere l’aurora boreale, non la vediamo.
GIORNO 2
È ora di impacchettare tutto, attrezzarsi e uscire da Reykjavik, scaldati ci siamo scaldati, ora comincia l’avventura.
I primi passi di montagna che attraversiamo ci danno un’idea diversa del posto in cui siamo, bianco ovunque, luce incredibile. È una bella giornata di sole, il viaggio è molto lungo ma ad ogni curva ci riempiamo gli occhi di immagini incredibili.
Le 5 ore previste di viaggio diventano qualcuna in più e le ore di luce col contagocce ci fanno schiacciare sull’ acceleratore. Le onde non sembrano nulla di eccezionale ma noi siamo caldi come il fuoco e corriamo in mezzo alla neve con le tavole sotto braccio.
In acqua spuntano delle testolone, sembrano cani di modeste dimensioni. Sono tre foche che vengono a controllarci. Non sono animali aggressivi, solo molto curiosi. Soprattutto se i surfisti sono in gruppo e soprattutto se la foca è da sola più di tanto non si avvicina ma gli altri stanno finendo di cambiarsi e per ora ci siamo solo io e Matteo e loro sono almeno tre. “Matte vieni un po’ qua, stiamo vicini. Vorrei andare fuori sul quel picco la ma ho una strizza di andarci da solo con tutte ste foche, va be dai ci vado speriamo in bene”.
La poca luce diventa sempre meno, oggi siamo andati un po’ lunghi col viaggio ed è già ora di uscire. Dalla line up alla mia destra vedo la luna piena, grande, gialla, spuntare da dietro un fiordo innevato, ma guarda te questa volta dove mi ha portato il surf.
Usciamo dall’acqua e questa volta non abbiamo piscina, doccia calda e comfort di ogni genere. Metto i piedi su qualcosa di asciutto che mi isoli dalla neve, abbasso la parte alta della muta, mi asciugo al volo e metto subito vestiti caldi per poi togliere la restante parte di muta per mettermi i pantaloni ma litigo mezz’ora per togliermi un calzare mi si ghiacciano i piedi e ci metterò poi mezz’ora a fargli riprendere una temperatura normale. Matteo si toglie i calzari, si toglie la muta e rimane in costume scalzo nella neve. Si asciuga e si veste. E da lì è diventato il maschio alpha del gruppo.
Cuciniamo a Ingo una pasta alle melanzane col parmigiano portato da casa e andiamo a fare due passi per vedere l’aurora boreale. Non la Vediamo.
A nanna.
GIORNO 3
Oggi non c’è da guidare molto, un paio d’ore e dovremmo arrivare a un point pazzesco.
Il point c’è ed è pazzesco ma la swell è troppo angolata da nord ovest e non riesce a entrare nel fiordo. Domani danno più mare e dovrebbe farcela, oggi andiamo a cercare altro, poi altro, poi altro. Fiordi innevati, vecchi rifugi di pescatori, cascate di ghiaccio ci riempiono gli occhi ma le onde proprio non le troviamo.
Andiamo ancora a vedere una spiaggia qui dietro, sarà piccolo e col vento da mare ma meglio di niente. Hai presente il vento teso da mare se fuori c’è meno 10?
Dietro la spiaggia c’è la piscina, facciamo che oggi va così. Acqua a 40 gradi e due chiacchiere tra amici. “Andre, sai il film under an arctic sky? Ti presento il capitano della barca a vela che vedi nel film” “Ah ragazzi venite da Genova, sulla mia barca a vela ho da un paio d’anni una bandiera blu e rossa con un simbolo dorato in mezzo, dev’essere tipo una squadra di calcio, me l’hanno regalata dei ragazzi.”
Ingo ci cucina la tipica cena natalizia islandese con la ricetta che gli faceva sua nonna, noi nel frattempo ci guardiamo “under an arctic sky”, “Guarda è vero, è il capitano della barca a vela, sarà 10 anni che non lo vedo questo film”.
Al fondo del fiordo c’è solo la nostra casetta immersa nella neve, è bella tipica perché è un mix tra un rifugio di montagna e la casa della nonna. Nevica a pallettoni, l’aurora boreale non andiamo neanche a cercarla questa sera.
GIORNO 4
Oggi è il giorno buono me lo sento, il point di ieri regalerà emozioni.
Usciamo alle prime luci (9:15) con la muta addosso, stanotte ha nevicato tanto e non è proprio facile da raggiungere ma le ruote delle nostre macchine hanno dei chiodi al posto dei tasselli e vanno ovunque.
Arriviamo al point con pochissima luce, vento teso e nevica forte. Ho la neve fino alle caviglie e guardo il mare piatto davanti a me sperando di scorgere un’onda in lontananza.
Forse forse c’è un po’ di movimento, con la marea che scende vedrai che la fa ma oggi noi dobbiamo spostarci e abbiamo tante ore da guidare.
Cambio programma:
Torniamo a casa, togliamo la muta, sistemiamo casa e carichiamo tutto, mangiamo qualcosa al volo, rimettiamo la muta e torniamo al point. Niente raga, è piatto, ci tocca farcene una ragione. Andiamo che la giornata è lunga.
Facciamo una strada che costeggia i fiordi, in linea d’aria avremo fatto 200km ma i fiordi non sono fatti in linea d’aria. Ci fermiamo solo per una piccola sosta in una piscina naturale. Siamo in mezzo al nulla, comodi nell’acqua bollente a guardare il tramonto tra i fiordi innevati. Potrei descrivertelo ma non rende l’idea.
Dai che ora in 7 orette siamo su. “Sai Andrea” mi dice Ingo “stiamo facendo le stesse tappe che abbiamo fatto durante le riprese di “under an arctic Sky” (ve l’ho detto che Ingo era la guida durante le riprese di quel film?)
Ora abbiamo da svalicare tre passi, quelli dove nel film siamo rimasti bloccati tre giorni perché nevicava troppo, tra l’altro andremo a dormire nello stesso posto, vedrai che troveremo anche le onde come loro!”
Mentre mi dice questo è ormai diventato buio e nevica, nevica, nevica. Non so se essere contento o no. Le 7 ore diventano molte di più. A tratti l’unico punto di riferimento visibile è il catarifrangente del palo a bordo strada, poi nulla, poi altro palo. Abbiamo tutti gli occhi sbarrati. Ingo lo definisce un po’ di mal tempo.
Il cielo si apre per 3km su 530. In quei 3km una timida aurora boreale ci fa emozionare.
“Ecco lì è dove siamo rimasti bloccati tre giorni!”
Noi arriviamo a destinazione. È notte, o mattina secondo i punti di vista.
Fortunatamente prima delle 9 non fa luce e possiamo dormire.
GIORNO 5
Siamo in una casetta di legno in mezzo alla neve, sì, quella del film. È ora di andare a vedere le onde e questa volta non dico nulla.
Una destra srotola indisturbata nella baia con una grossa montagna innevata a farle da sfondo. Mi sa che questa scena l’ho già vista da qualche parte. Entro in acqua e rido. Rido perché guarda dove sono finito.
E remo forte per prendere la prima onda e realizzare che sta succedendo davvero.
Ecco, ora dopo questa session in teoria dobbiamo rientrare a Reykjavik con Ingo, che deve essere in aeroporto domattina, ma siccome nulla ti fa stravolgere i piani all’ultimo secondo come il surf e i figli noi decidiamo di rimanere qui. Ingo ci lascia una macchina e scende da solo col van noi teniamo la jeep e ne affittiamo un’altra da restituire poi all’aeroporto. Rimaniamo nella nostra casetta di babbo natale. Damiano ci cucina 2 chili di carbonara e via a nanna che le previsioni di domani hanno tutte le carte in regola perché sia più epico di oggi.
GIORNO 6
È epico. Il vento da terra tiene ordinate le linee perfette e non c’è NESSUNO.
Prendiamo le prime onde contenti che le onde grossine del giorno prima ci abbiano fatto prendere le dovute misure.
Angelo si muove sicuro, gli dico poco perché lo spot è dispersivo, e poi si sta muovendo veramente bene, si mette nel posto giusto e prende le sue onde. Solo una persona si aggiunge al gruppo, mi saluta facendomi un sacco di complimenti sulle onde che mi ha visto prendere da fuori, dice che le ho surfate proprio bene, si chiama Ben e viene dal New Jersey.
Poi Ben prende qualche onda e ci rendiamo conto che va come un treno. Quel matto di Tommaso decide di buttarsi a fare qualche foto dall’acqua visto il tempo mite e la poca corrente (sono ironico) e mi dice “ma hai visto che quello è
Ben Gravy?” Torno in line up con la coda da pavone per quello che mi sono sentito dire poco prima e la mattina continua finché non abbiamo più forza nelle braccia. Esco dall’acqua insieme a Tommaso per aiutarlo perché l’uscita è un po’ turbolenta e lui ha la macchina foto in mano, alla fine non lo aiuto perché fa tutto da solo, si aggrappa a una roccia e viene scaraventato a riva da un’onda che lo sbatacchia come una pallina da flipper tra le rocce mente lui con le braccia in alto cerca di salvare la macchina fotografica.
Macchina fotografica salva. Tommy un po’ ammaccato ma salvo.
Quando esce anche Angelo gli vado incontro e gli sorrido. Con un filo di voce dice “ne è valsa la pena” e scoppia a piangere. Quei pianti che arrivano da dentro, di quando sei così felice che non riesci a tenerlo. Io lo abbraccio più forte che posso e ascolto quel pianto che mi rimane nel cuore.
È ora di rientrare davvero, giusto il tempo di offrire un caffè a Ben Gravy e regalargli un pezzo di parmigiano e ripartiamo verso Reykjavik.
Il viaggio questa volta fila liscio in mezzo alle montagne e in 5 orette scarse ci avviciniamo alla città.
Il cielo è limpido e un‘aurora boreale enorme squarcia il cielo. Ci fermiamo dove siamo e rimaniamo in silenzio ad ammirare il cielo prendere vita. Dall’altro lato della città si vede il rosso del fuoco perché il famoso vulcano del primo giorno ha deciso di eruttare.
Rimaniamo talmente senza parole che non so come sto facendo ora a rimettere insieme tutto.
Mi arriva un messaggio: “domani vedrete il vulcano dall’aereo, c’è gente che paga un rene per fare un giro in elicottero a vedere il vulcano dall’alto e voi potete vederlo gratis.”
Questa mattina sono da solo in macchina, devo restituire la macchina a noleggio mentre gli altri mi aspettano in aeroporto. Sulle note di una canzone che mi ha fatto compagnia in questi giorni ora piango io. Piango con tutto me stesso da quante emozioni ho vissuto.
Saliamo sull’aereo e ho il posto finestrino a sinistra, a regola l’aereo sale e gira verso sinistra. Bingo.
“Avvisiamo i signori passeggeri che dopo il decollo potrete vedere l’eruzione del vulcano alla vostra destra”.
Peccato. Toccherà tornare.
Andrea Lamorte